Direzioni. Dove va l’editoria, dove va la scolastica.

Un luglio ricco di stimoli, un dibattito che lungi dal diminuire per ferie lascia presagire un lavorìo preparatorio di nuove attività e proposte per la prossima stagione scolastica, almeno per chi voglia cogliere certi segnali con un discreto ottimismo.  Continue reading

Cose che ho imparato (sbagliando) nell’organizzare laboratori di formazione

Fedele al mio detto che gli errori si fanno (anche sul lavoro, anche se ti hanno messo in guardia) ma il vero problema è il ripeterli dopo averli fatti senza imparare dall’esperienza, enumero di seguito una serie di buona pratiche emerse in questi ultimi sette mesi nell’organizzazione dei laboratori di realizzazione ebook di quintadicopertina. Si tratta di buoni consigli che declino in una seconda persona singolare che sono prima di tutto io:  Continue reading

Si riesce a vendere ebook al Salone del Libro?

collaneappesePer il secondo anno con Quintadicopertina abbiamo tenuto uno stand al Salone del libro di Torino dove, fra il materiale informativo e le riviste del nostro partner Altrinformazione, offrivamo la possibilità di acquistare ebook direttamente in fiera.

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Alla gola dell’editore digitale: una collana o un giogo?

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A un incontro su “la cura dei libri” a Roma in occasione di Più libri Più liberi Fabrizio Venerandi ha affermato  che anche fra gli editori nativi digitali essere “indipendenti” è una chimera, un mantra ripetuto cercando di coltivare al meglio l’orticello, tenendo lo sguardo ben fisso sul proprio lavoro  senza volgerlo altrove. Fuori infatti ci sono Amazon, Google, Apple: players tecnologici che con l’editoria hanno ben poco a che fare, ma che si possono permettere di intervenire su tutte le fasi di ideazione, produzione e promozione di un testo: dal formato ai contenuti (le ‘pecette’ sui seni dei manga giapponesi), dalla grafica (un nostro testo ci fu rifiutato da Apple con la motivazione che i paragrafi non erano indentati) al prezzo (i fatidici ,99, o la possibilità di valutare il prezzo ‘non coerente’ con la dimensione del file dell’ebook), alla commercializzazione (‘chiudiamo per natale per un mese e mezzo’: e al diavolo le vostre offerte), arrivando a tenere per se’ fino al 52%/70% del prezzo del libro.  Continue reading

White Arrogance e l’ossimoro della cultura indipendente

Sabato 20 ottobre a Parma con Antonella Sinopoli abbiamo tenuto l’ultima presentazione di “White Arrogance – Cosa pensano gli africani di quel che i bianchi dicono di loro” a Ottobre Africano; ultima perché l’autrice è in procinto di partire nuovamente per il Ghana: buon viaggio Antonella, lavorare con te è sempre un’esperienza significativa.  Continue reading

A rebours – Quintadicopertina e un aggiustamento di rotta

Tutti sono pronti a dare consigli agli editori digitali, ma all’atto pratico non è così banale determinare strategie in grado di assicurare la sopravvivenza di un editore digitale, concretizzandole in un progetto di sostenibilità. Un conto è lanciare una startup sperando di essere acquisiti nei primi tre quattro anni di vita, magari utilizzando un sostanzioso prestito iniziale, un conto è pensare di costruire una casa editrice che viva sul proprio progetto indipendente.  Continue reading

AAA Esperto stregone cercasi per sostituzione addetto stampa

“La presenza del mega-seller dimostra la forza dell’editore, la sua capacità di controllo del mercato. Con il digitale è il lettore che assume il comando, che parla all’interno della comunità, che sceglie cosa, dove, e a che prezzo comprare il libro”.

E’ il panico per voi editori?

“Diciamo che ci siamo molto vicini. L’editore deve capire come comunicare con il lettore. E non è facile in un mercato che tenderà a frammentare sempre più lo spettacolo dei libri”.

Lo ha detto Riccardo Cavallero, direttore generale Mondadori, qualche giorno faraccontando di un mega-seller sta vendendo sempre meno, e della difficoltà a rinnovare in digitale gli ingredienti di quella magica ricetta che dà vita al successone da un milione di copie.

Le figure intermediarie fra editore e lettore perdono forza, e così anche la critica e la stampa di settore. 

Dalla (ridotta) prospettiva da cui opero ho una considerazione empirica da fare, che forse è un po’ la scoperta dell’acqua calda: ciò che piace alla stampa ha ben poco a che fare con ciò che piace ai lettori. Per la promozione di un testo nuovo lavoro con tre gruppi di contatti: stampa cosiddetta ‘tradizionale’, luoghi e figure di riferimento nella rete, (blogger, siti di letteratura e critica, etc), i lettori e i posti dove si parla direttamente con loro. Per i tre gruppi, tre lanci differenti.

Bene: dopo quasi due anni di Quintadicopertina (fatte salve un paio di cantonate), mi rendo conto che un testo piacerà ai giornalisti, verrà ripreso più volte ma venderà pochettino, un altro invece passerà sotto silenzio, ma i lettori lo premieranno con l’acquisto. Le cose che fanno più notizia non sempre sono quelle che vanno meglio; anzi.

Nessun problema in questo: il gioco si fa più divertente. Si prova un giorno a ‘nutrire la stampa’, l’altro i lettori. Con un testo si appare, con l’altro si vende. E questo si spiega anche agli autori, barattando le vendite con la rassegna stampa.

Ma perché la stampa parla di testi che poi non vengono letti dai lettori? Si parla di un ebook per motivi che suscitano la curiosità “epidermica” del lettore che “clicca” per soddisfare un lancio accattivante. Ma usciti dalla notizia, la si dimentica. La funzione critica nel giudicare un libro si è spostata -forse- dalla stampa ufficiale ai lettori stessi, che condividono una “notiziabilità” diversa, concentrata sul piacere della lettura (lasciando da parte qualsiasi giudizio qualitativo: non è nelle intenzioni di questo post ‘pesare’ i giudizi dei critici o dei lettori).

Il megaseller inizia a non funzionare più come prima perché è un modello vecchio, basato su una comunicazione dall’alto al basso. Ma la comunicazione oggi avviene anche e soprattutto su linee differenti.

Non è certo questo che contribuirà a risolvere le problematiche del mega-seller di Cavallero che non vende più (per me un buon successo è una media di 500 download a titolo e se li superiamo offro da bere all’autore, sta nel contratto), ma è indicativo di quanto sia necessario ridefinire strategie (e ruoli), e ritrovarsi un po’ stregoni con la sfera di cristallo, digitale.

Librinnovando: investire, innovare, promuovere. Ma chi paga il conto?

Da un evento ben riuscito ed organizzato come Librinnovando si torna portando a casa -o meglio in redazione- stimoli, riflessioni, idee e curiosità.

Dopo qualche giorno, fra tutti gli stimoli ricevuti, uno fra tutti emerge chiedendo risposta: si parla di sviluppo, di applicazioni, di innovazione e sperimentazioni. Ma passando alla realizzazione pratica, di chi è il compito di ‘pagare il conto’ di tutta questa sperimentazione?

Due scene mi tornano alla mente: la prima è quella di Elena Asteggiano, alias @ilredattore, che chiede di alzare la mano prima a tutti gli editor, e poi a tutti gli sviluppatori. La proporzione in sala favorisce i secondi, anche se non in grande misura.

La seconda scena riguarda il bailamme suscitato (prevalentemente su twitter, ma anche in sala) dalla risposta di Elena Conversi (Elastico App) alla domanda sul costo e la sostenibilità dello sviluppo della loro applicazione su Pinocchio per iPad&Co.
La Conversi spiega che il suo studio ha sviluppato l’app per promozione, per presentarla e nella speranza che un ‘Grande Editore’ poi li chiamasse per proseguire su qualche altro testo. I ‘Grandi Editori’ però, fatti due conti, ci investono meno di quanto ‘gli sviluppatori’ vorrebbero. Pochi coloro che scommettono su app editoriali ben fatte, si prediligono ‘prodotti’ più economici. Con un costo al pubblico che si aggira fra 0.79 e 1.99 cents viene difficile rientrare nei costi.

Ora: se stiamo parlando di editoria, e di editoria italiana, a chi ci rivolgiamo quando proponiamo lo sviluppo di app con costi superiori ai 15 mila euro, e che dati abbiamo per poter stabilire che la ‘scommessa’ potrebbe volgersi a nostro favore?
Parte dei ricavi si disperde consegnando a Apple o chi per essa la quota-percentuale per poter vendere nel suo store, parte che va a intaccare le entrate di chi, editore o sviluppatore, i contenuti li sta producendo. Inoltre, se ci rivolgiamo al mercato editoriale italiano e alla casa editrice media non possiamo fare a meno di calcolare quali siano le risorse e possibilità.

Forse le considerazioni della Conversi possono portarci ad un monito. Ad ogni evento sul digitale, sviluppatori e agenzie editoriali propongono prodotti innovativi e all’avanguardia su cui hanno investito il tutto per tutto, nella speranza di trovare un Grande Editore/Grande Investitore che gli sovvenzioni il lavoro. E’ tutto molto americano: cerco fondi per sviluppare la mia start-up, cerco clienti in grado di retribuire il mio lavoro, faccio pochi conti sulla sostenibilità di questo genere di editoria perché non è il mio lavoro. Poi ce la si prende con l’editore, che invece questi conti li deve fare, non può permettersi di investire in quel che lo sviluppatore gli propone e fa la parte del retrogrado incapace di pensare nuovo. Forse invece il problema è nel tipo di percorso che gli sviluppatori e gli editori fanno, ognuno per conto proprio e con scarsa capacità di cogliere le risorse e le problematiche dell’altro.

Per questo mi chiedo quanto questo tipo di proposta sia adeguata alle richieste e alle esigenze dell’editoria italiana.

Una delle risorse che ci siamo accorti di avere con quintadicopertina è quella di non esserci mai considerati una start-up in senso stretto. Non avendo alcun fondo da nessuno e non finalizzando i nostri lavori per trovare soldi per sviluppare qualcosa, abbiamo dovuto pensare a come camminare indipendentemente, rivolgendoci ai lettori, proponendo un’editoria innovativa con i piedi per terra, dove il margine di guadagno lo abbiamo con vendite intorno ai 400/500 testi scaricati. Si tratta di un discorso molto concreto, che ai grandi numeri virtuali preferisce darsi obiettivi realizzabili. Oggi molti nostri testi sono ancora lontani dalla boa dei 500 download, ma pensiamo che questo percorso dal basso sia più realista e redditizio che puntare a fare ‘il grande botto’ con un’applicazione da 15,000 euro che necessita di 17 mila download per rientrare nei costi. Anche perché questo è il mondo editoriale con cui ci troviamo a rapportarci, e non uno del mondo dei sogni che campa vendendo centinaia di migliaia di copie per ogni testo pubblicato.

C’è poi un appunto di tipo culturale: di fronte ad una platea di sviluppatori che mette in minoranza i redattori, c’è da chiedersi chi sia colui che si mette a fare editoria digitale e anche il perché.
Le scelte editoriali sono prima di tutto scelte culturali che – poco o tanto – impattano i lettori e, in seconda battuta, il panorama intellettuale italiano. Scegliere di aprire una collana che parla di geopolitica rispetto ad una di chick-lit, o investire su iApp digitali che potrebbero mettere secondo piano il contenuto, sono scelte editoriali, ma sono anche e soprattutto scelte politiche. Di fronte alle tante wunderkammer multimediali, anche di grande effetto, gli editori, i redattori e gli sviluppatori devono essere in grado di riportare l’attenzione alla cosa narrata e letta, e a riflettere sul cosa rimane al lettore dopo essere entrato ed uscito da questi nuovi prodotti digitali. Perché il rischio è che si continui a parlare di editoria digitale in termini di ebook multimediali, ebook interattivi, social reading, e non si parli mai di sofferenza, di rivolta, di cambiamento e di passione.
Che la cosa narrata resti – insomma – una sorta di appendice e non il cuore di quello che andiamo a fare.