Nei diversi interventi che vanno arricchendo il dibattito estivo su quantità e qualità dei titoli pubblicati in Italia (dalla proposta per una Decrescita nella produzione di opere culturali di Simone Barillari al provocatorio Salva un libro Uccidi un editore di Derive e Approdi), il post di Luisa Capelli fa il punto della situazione: riassume, riporta e contestualizza voci e opinioni.
Da leggere per comprendere di quello di cui si sta parlando.
Qui mi limito ad accennare ai temi, in breve: in Italia si pubblica troppo? Servirebbe all’editoria (ovvero al mercato editoriale o al lettore?) pubblicare meno? Pubblicare meno equivarrebbe a pubblicare meglio? Chi è che pubblica ‘peggio’: i piccoli o i grandi editori? E chi decide cosa sia ‘meglio’ o ‘peggio’? Gli editori hanno guardato troppo al mercato e troppo poco al lettore? Un libro che interessa poche persone è automaticamente un ‘brutto’ libro? E a parer di chi? Per il mercato o per quei pochi lettori?
Luisa Capelli però si spinge oltre e fa qualche considerazione sul digitale, e qui gli stimoli sono tanti che non riesco a trattenermi dal riprenderli:
se poi guardo alla mia personale esperienza nella saggistica posso testimoniare che i libri migliori, spesso, nascono dallo scambio e dalla condivisione di una riflessione comune, da un confronto plurale (che di frequente si traduce in altrettanti volumi), piuttosto che dal parto romantico e solitario di un autore (eventualmente accompagnato al suo editor/editore)
E poi
La peculiarità dell’editoria digitale – gli ebook in tutti i formati, noti e che verranno – sta nella sua capacità di imporre un ripensamento radicale al ruolo e al lavoro dell’editore: non un comparto del lavoro editoriale (i libri che stampiamo, li produciamo anche in ebook), ma la riconsiderazione delle modalità con le quali pensiamo, progettiamo, scriviamo e pubblichiamo i libri.
Può il digitale sostenere il ripensamento radicale del mercato editoriale?
Ragionando in termini di mera quantità, non posso nascondere qualche timore verso il digitale. Il mercato richiede di pubblicare il maggior numero di titoli possibile per avere maggiore visibilità: a volte i meccanismi degli store che vendono ebook comprendono anche il numero di titoli in vendita per comparire ai primi posti (peraltro uno fra i meccanismi meno oscuri). Inoltre, allo stato dei fatti, digitalizzare più testi pubblicandoli automaticamente porterebbe probabilmente un ricavo maggiore che perdere tempo con pochi attraverso editing, progettazioni e revisioni. Ma non sarei più editore, e probabilmente sulla lunga distanza il nome ne risentirebbe. Su questo potrebbe essere utile, passato il tempo delle grandi analisi sul digitale e sugli scenari a venire, una critica o un interesse della critica sui contenuti proposti in digitale, che potesse fornire al lettore qualche strumento di scelta e valutazione di ebook che si acquistano senza nemmeno poterli sfogliare (se non proponiamo soluzioni alternative) e, ancora una volta, maggior ascolto e considerazione per le richieste dei lettori.
Allora, attraverso il digitale, posso sperimentare anche sulla produzione, sulla progettazione e sulla scrittura dei testi che pubblico. Giocando -appunto- sulla pluralità delle voci, sulla collaborazione con autori e con altri editori magari tradizionali.
E altri sperimentano in modi differenti, per esempio proponendo testi che in virtù di un interesse di nicchia sarebbe forse antieconomico proporre su carta, ma di cui non si può dire a priori siano privi di qualità.
Attraverso il digitale possiamo pubblicare quantitativamente di più, ma a questo di più dobbiamo dare un senso. Vedo i contenuti come realizzazione di un progetto editoriale in fieri e non chiuso nell’atto della pubblicazione; una coralità di voci, di narrazioni, o un dibattito con diverse opinioni che prendono il via in rete o dal vivo, o in università e poi diventano ebook e in seguito -perché no- diversi ebook possono dare vita a un unico testo cartaceo, pubblicato in collaborazione con un editore tradizionale. Il contenuto digitale è prima di tutto liquido, si muove in diversi ambiti, dalla rete alla carta. Non si ferma mai.
Leggendo editoria nativa digitale mi pare che si stia lavorando sulla ricerca di nuovi modelli, in fase di ricerca dei testi, di pubblicazione o di promozione. Anche chi sostiene che il digitale sia in fondo lo stesso modo di leggere di un libro cartaceo sotto-sotto utilizza nuovi modi di proporre e presentare i testi in modalità differenti.
Penso all’esperienza personale di Quintadicopertina: quasi tutti i collaboratori di Quinta me compresa, hanno collaborato con service e case editrici, ma non abbiamo mai lavorato dall’interno. Quello che provoca in molti lo sconcerto riassunto nella domanda ‘ma questi da dove vengono?’ è anche quel che ci permette di guardare criticamente certe dinamiche del mercato editoriale senza darle per scontate e sperimentando soluzioni alternative (senza nascondere che a volte riescono, altre si dimostrano fallaci). Un esempio semplice: la difficoltà degli editori di conversare con i lettori. Mi stupisce sempre quando parlo con un editore la miriade di intermediari che interpella per conoscere i riscontri di un libro, e per promuoverlo. L’ufficio stampa che parla ai giornalisti, il marketing che parla alle riviste, il commerciale che parla con il distributore. Il digitale qualche supporto lo può dare: perché su Goodreads di otto libri su dieci (meno su Anoobi, ma capita anche lì) che leggo devo inserire le schede dei libri perché pochi fra gli editori lo fanno?
E’ lo stesso sguardo da newbie che osserva il ‘potere dei big’, il monopolio nella scolastica, ma soprattutto la distanza fra politica e (mancanza di) politiche di sostegno alle istituzioni culturali. Oggi le leggi e le regolamentazioni in materia sono pensate per un mercato che non ha nulla a che vedere con l’editoria digitale, e pongono interrogativi su limitazioni che appaiono barocche per chi in questa situazione non è cresciuto, portando ad elaborare ipotesi di soluzioni che potrebbero apparire curiose e antistoriche. È il caso della questione dell’iva unificata al 4% o al 20%, con provocanti soluzioni terze sulla questione , o il prezzo fisso di copertina, la cui abolizione per il digitale non sarebbe certo un ostacolo per il lettore che potrebbe liberamente scegliere presso quale store acquistare un ebook e rappresenterebbe una risorsa per il piccolo editore che ha il proprio store on line.
Mi rendo conto però che sono questioni ai margini del dibattito.