Media e mediattivismo possono influire nella realtà politica e sociale e essere uno strumento per rilanciare l’impegno civile attraverso il web? Se ne è parlato venerdì mattina al Festival del Giornalismo di Perugia durante un densissimo Panel moderato da Simone Sapienza (Radio Radicale) e Luca Nicotra (Agorà digitale).
Spunto della conversazione sono state alcune esperienze concrete di questi ultimi anni, che hanno trovato forza nel legame con il territorio, spesso nate in contrapposizione all’informazione ‘ufficiale’ diffusa dai media mainstream.
Un esempio è stato quello portato da Alessandro Tettamanti, del Comitato 3.32, legato alla narrazione de L’Aquila post-terremoto. Tettamanti racconta che la città, dopo il 6 Aprile 2008, è diventata il centro di un vuoto sociale, istituzionale, politico. Abbandonata, disgregata in campi temporanei, totalmente militarizzata, e contemporaneamente al centro di una delle più grandi campagne di immagine del Governo, teso a dimostrare il contrario. L’informazione ufficiale utilizzava l’ufficio stampa della Protezione Civile come fonte principale: fare informazione corretta è diventata un’esigenza sociale, e la rete un luogo fondamentale e ficcante per le sue modalità di funzionamento: video e materiali venivano viralmente diffusi tanto dagli aquilani quanto dai lettori.
La controinformazione –quindi– viaggia veloce sulla rete, e i gruppi sui social network raccolgono grandi numeri. Ma chi clicca ‘mi piace’ è poi disposto a fare uno sforzo in più e scendere in piazza, partecipare?
Secondo Roberto Fico, MeetUp di Napoli, è in atto un grande ed epocale cambiamento nell’organizzazione delle persone, e non solo nelle modalità di comunicazione. A Napoli, in 29 giorni si è organizzato un evento a partire da una raccolta-fondi on line che con diecimila euro ha coperto tutte le spese e che, senza l’appoggio di partiti politici, sindacati, gruppi organizzati e stampa ufficiale, ha portato in piazza trentamila persone. Il movimento a 5 stelle è molto legato all’esperienza dei MeetUp e vede i suoi rappresentanti eletti nelle istituzioni locali come snodi di un network che abbatte il principio di tempo, di delega, e trasformando l’elaborazione di idee e progetti in un processo collettivo e non gerarchico.
Non basta però accontentarsi di questi dati positivi per parlare di potere di penetrazione della informazione attraverso la rete. Gli elementi di crisi dei media ufficiali toccano anche il mediattivismo.
Giuliano Santoro di Carta, uno fra i primi mediattivisti italiani, sostiene che se l’incrocio fra reale e virtuale produce cose molto positive, è anche causa del fatto che il TG più visto in Italia sia quello dove si aggira un tipo in tuta gialla e rossa con una ventosa sulla testa a denunciare i soprusi di piccoli furfanti e landruncoli, e mai dei potenti. Che canalizza (e forse sopisce) la rabbia. La rete non produce forme di democrazia, riproduce forme di gerarchia e comando come in un qualsiasi luogo dove vi siano e si incontrino persone. E’ un luogo dove, come in qualsiasi altro, si incrocia il vero e il falso, dove la narrazione diventa notizia e se non sai trasformare la notizia in narrazione la notizia non si diffonde, dove anche il giornalismo ha bisogno del ‘reality show’. Tanto in rete quanto fuori, la necessità è l’identificazione di spazi dove giocarsi la battaglia con le relazioni di potere.
Gli stessi media possono diventare oggetto dell’attivismo, spiega Ben Brandzel, Move on, per esempio attraverso il monitoraggio della loro proprietà e i loro legami con i luoghi di potere. MoveOn si muove cercando di attirare l’attenzione dei media senza diventare il focus della notizia. Se per esempio sulla riforma sanitaria i media legati alla comunicazione avversa al Presidente diventano diffusori di mala informazione, MoveOn ha raccolto ventimila testimonianze ‘reali’ e attraverso una rete sul territorio in grado di contattare uffici-stampa locali, organizzare eventi e conferenze ha portato nel locale la corretta informazione, fra persone che non sarebbero state ‘agganciate’ attraverso il web. Il focus dell’attivismo non è internet, è il tema su cui si lotta, e i trentamila che scendono in piazza.
Il web activism porta gente in piazza. Resta però una domanda, posta dalla platea per gioco o per provocazione, ma ugualmente amara: se il web coinvolge, se il Popolo Viola porta in piazza un milione di persone contro il governo, se i gruppi sui social network in opposizione al presidente raccolgono milioni di iscritti: come mai Berlusconi è ancora al potere?