Appuntamenti interessanti

Qualche appuntamento interessante fra Aprile e Maggio:

Dal 21 all’8 Maggio ad Aosta c’è il Festival della Parola, con diversi appuntamenti interessanti e giovedì 28 Aprile alle 21 ci sarà una tavola rotonda su Il coraggio di leggere. Editori e lettori nell’Italia di oggi , con Giovanni Solimine, Docente presso l’Università La Sapienza di Roma e autore del saggio “L’Italia che legge” (Laterza), Andrea Bosco, editor di Einaudi Tascabili, Susanna Basso, traduttrice di Ian Mc-Ewan, Alice Munro e Paul Auster, Monica Bardi, critica letteraria e redattrice della rivista “L’indice dei libri del mese”, Joseph-Gabriel Rivolin, Direttore della Direzione archivi e biblioteche dell’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta, Simone Bedetti, editore di e-book (Area51 Publishing, Bologna), Maria Cecilia Averame, editrice di ebook (Quintadicopertina, Genova). Modera Arnaldo Colasanti .

Il 7 e 8 Maggio a Bologna La Rue Infoshop presentano Fahrenheit 451 il futuro del libro. Festival popolare per l’editoria digitale al Laboratorio Crash via della Cooperazione 10, e già l’ingresso ‘gratis et amore’ fa venire voglia di parteciparvi, finalmente poi un approccio popolare al digitale.

Dal 12 al 16 Maggio sarò infine con Quintadicopertina al Salone dell’editoria di Torino, nell’incubatore nuove imprese, e Venerdì 13 parleremo di abbonamenti all’autore e nuove modalità di dialogo fra scrittori e lettori, mentre Sabato 14 si vedrà tutto quel che l’editoria digitale può fare ma nessuno ha mai avuto il coraggio di dirvelo, assieme a Simone Bedetti di Area 51 Publishing.

Si preannuncia un bel mesetto di conversazioni interessanti.

[Comunicazione sociale] Carcere googlato, carcere narrato

I primi di aprile ho partecipato nel carcere di Padova all’incontro annuale della Federazione Informazione dal Carcere organizzato da Ristretti Orizzonti, il giornale (e portale) più completo e puntuale di news sullo stato del sistema penitenziario in Italia visto dall’interno.
E’ una parte di vita di cui difficilmente parlo in rete; dopo 15 anni di comunicazione sociale, fuori e dentro il web, sento già forte la contrapposizione tra lo sforzo di raccontare realtà difficili e la rappresentazione virtuale che ne esce; figuriamoci ‘mettere in rete’ il carcere, luogo perverso e misconosciuto, che con le semplificazioni del web non ha nulla a che fare (salvo, semmai, subirle).
Senza contare che poi, se lo frequenti, vieni inevitabilmente catturato da quell’ingranaggio che ti fa pesare ogni parola: che se la dici sbagliata, o la dici male o la dici giusta nel momento sbagliato, o la dici giusta nel momento giusto ma la legge la persona sbagliata, può sempre essere che quel permessino gentilmente concesso per entrare ti venga subitaneamente revocato.

Dicevo del web: come raccontava una ragazza dell’OPG di Reggio Emilia, nell’era della trasparenza, di Wikileaks, dei dati pubblici e dell’informazione che non si può nascondere, è impossibile o estremamente difficile venire a sapere dati sul carcere che dovrebbero essere pubblici e disponibili soprattutto per chi vi lavora, mentre basta googlare il nome di un detenuto per conoscerne vita miracoli e condotta (foto, nomi dei famigliari, reato, indirizzo, lavoro, religione, nazionalità…) e sapere cose che non solo dovrebbero essere coperte da privacy ma che tu che entri in carcere non avresti il diritto di sapere. Questa non è trasparenza, non è informazione, non è sensibilizzazione. E’ curiosità pruriginosa, e piace tanto alla rete.

Quella curiosa pruriginosità che fa più danni dell’ignoranza, e che abbinata ad un meccanismo di semplificazione del messaggio e di coinvolgimento attraverso la sfera emotiva porta a una rappresentazione spettacolarizzata che provoca piacere al lettore/ascoltatore e riduce la possibilità di trasmettere e diffondere informazioni corrette.

Un esempio pratico? Quasi tutti i partecipanti all’incontro erano estremamente critici verso le ultime trasmissioni televisive quali quella di Lucarelli su Rai3 o l’ultima sugli OPG di Presa Diretta, che pure hanno permesso di aprire in TV una finestra sul carcere. Il motivo? Gli estremismi e le tecniche di narrazione: si fa vedere Solliciano come carcere dove tutto va male, e si va vedere Bollate per la struttura ‘fiore all’occhiello’. A parte il vuoto sulla fascia intermedia, non si capisce nemmeno bene se per risolvere i problemi del sistema penitenziario italiano basti trasformare tutti i Solliciano in tanti Bollate, o se anche quest’ultimo cerchi di adottare le soluzioni migliori e trovare i percorsi più efficaci quando è il percorso della giustizia a non aver nulla a che fare con l’efficienza.
Su quella degli OPG (personalmente non la ho vista) mi segnalavano l’utilizzo di immagini ad alto impatto emotivo, ripetute nel montaggio, di volti, persone e situazioni che possono ben dimostrare come in un carcere giudiziario si soffra e si possa essere abbandonati senza spingere il ragionamento un po’ più in là.

Forte impatto a basso contenuto: e se Bruno Vespa ci spiega che l’autore di un delitto efferato vede ridursi automaticamente la sua pena del 50%, sommando tutti i benefici di legge ma senza accennare al fatto che alcuni sono alternativi ad altri, e che molti sono concessi a meno del 2% della popolazione detenuta, la semplificazione diventa una realtà incontrovertibile che fa paura, andando ancora a toccare corde emozionali.

E dunque?
(/segue)

Quello che il mediattivismo non riesce a raggiungere

Media e mediattivismo possono influire nella realtà politica e sociale e essere uno strumento per rilanciare l’impegno civile attraverso il web? Se ne è parlato venerdì mattina al Festival del Giornalismo di Perugia durante un densissimo Panel moderato da Simone Sapienza (Radio Radicale) e Luca Nicotra (Agorà digitale).

Spunto della conversazione sono state alcune esperienze concrete di questi ultimi anni, che hanno trovato forza nel legame con il territorio, spesso nate in contrapposizione all’informazione ‘ufficiale’ diffusa dai media mainstream.

Un esempio è stato quello portato da Alessandro Tettamanti, del Comitato 3.32, legato alla narrazione de L’Aquila post-terremoto. Tettamanti racconta che la città, dopo il 6 Aprile 2008, è diventata il centro di un vuoto sociale, istituzionale, politico. Abbandonata, disgregata in campi temporanei, totalmente militarizzata, e contemporaneamente al centro di una delle più grandi campagne di immagine del Governo, teso a dimostrare il contrario. L’informazione ufficiale utilizzava l’ufficio stampa della Protezione Civile come fonte principale: fare informazione corretta è diventata un’esigenza sociale, e la rete un luogo fondamentale e ficcante per le sue modalità di funzionamento: video e materiali venivano viralmente diffusi tanto dagli aquilani quanto dai lettori.

La controinformazione –quindi– viaggia veloce sulla rete, e i gruppi sui social network raccolgono grandi numeri. Ma chi clicca ‘mi piace’ è poi disposto a fare uno sforzo in più e scendere in piazza, partecipare?

Secondo Roberto Fico, MeetUp di Napoli, è in atto un grande ed epocale cambiamento nell’organizzazione delle persone, e non solo nelle modalità di comunicazione. A Napoli, in 29 giorni si è organizzato un evento a partire da una raccolta-fondi on line che con diecimila euro ha coperto tutte le spese e che, senza l’appoggio di partiti politici, sindacati, gruppi organizzati e stampa ufficiale, ha portato in piazza trentamila persone. Il movimento a 5 stelle è molto legato all’esperienza dei MeetUp e vede i suoi rappresentanti eletti nelle istituzioni locali come snodi di un network che abbatte il principio di tempo, di delega, e trasformando l’elaborazione di idee e progetti in un processo collettivo e non gerarchico.

Non basta però accontentarsi di questi dati positivi per parlare di potere di penetrazione della informazione attraverso la rete. Gli elementi di crisi dei media ufficiali toccano anche il mediattivismo.

Giuliano Santoro di Carta, uno fra i primi mediattivisti italiani, sostiene che se l’incrocio fra reale e virtuale produce cose molto positive, è anche causa del fatto che il TG più visto in Italia sia quello dove si aggira un tipo in tuta gialla e rossa con una ventosa sulla testa a denunciare i soprusi di piccoli furfanti e landruncoli, e mai dei potenti. Che canalizza (e forse sopisce) la rabbia. La rete non produce forme di democrazia, riproduce forme di gerarchia e comando come in un qualsiasi luogo dove vi siano e si incontrino persone. E’ un luogo dove, come in qualsiasi altro, si incrocia il vero e il falso, dove la narrazione diventa notizia e se non sai trasformare la notizia in narrazione la notizia non si diffonde, dove anche il giornalismo ha bisogno del ‘reality show’. Tanto in rete quanto fuori, la necessità è l’identificazione di spazi dove giocarsi la battaglia con le relazioni di potere.

Gli stessi media possono diventare oggetto dell’attivismo, spiega Ben Brandzel, Move on, per esempio attraverso il monitoraggio della loro proprietà e i loro legami con i luoghi di potere. MoveOn si muove cercando di attirare l’attenzione dei media senza diventare il focus della notizia. Se per esempio sulla riforma sanitaria i media legati alla comunicazione avversa al Presidente diventano diffusori di mala informazione, MoveOn ha raccolto ventimila testimonianze ‘reali’ e attraverso una rete sul territorio in grado di contattare uffici-stampa locali, organizzare eventi e conferenze ha portato nel locale la corretta informazione, fra persone che non sarebbero state ‘agganciate’ attraverso il web. Il focus dell’attivismo non è internet, è il tema su cui si lotta, e i trentamila che scendono in piazza.

Il web activism porta gente in piazza. Resta però una domanda, posta dalla platea per gioco o per provocazione, ma ugualmente amara: se il web coinvolge, se il Popolo Viola porta in piazza un milione di persone contro il governo, se i gruppi sui social network in opposizione al presidente raccolgono milioni di iscritti: come mai Berlusconi è ancora al potere?