comprarsi un sampietrino, un pezzo di pavimentazione, un pezzo d’Asfalto

Ieri ho visto la pubblicità dell‘iniziativa adottata dalla juventus per finanziare la costruzione del nuovo stadio e mi son detta ma guarda un po’, c’è gente disponibile a spender quattrini per comprarsi un pezzo di suolo calpestabile. Chissà chi è.

Oggi ho letto questo annuncio di un’associazione che tiene un blog di persone senza dimora, che ha dato l’opportunità di (ri)costruire legami fra persone e società, sviluppare competenze, intessere legami e stabilire relazioni. E il loro Comune ha interrotto i fondi. Una cosa buona dalla rete, che avevo notato raccogliendo esperienze e testimonianze di cose buone nate dalla rete, di cui avrei voluto parlare.

Beh, effettivamente un pezzo di asfalto me lo comprerei anche io.

E scommetto che la cifra totale è nettamente inferiore di quella cui mira la juve per il suo nuovo stadio.

L’estate digitale vista dalla ‘Periferia dell’Impero’

Estate chiaccherata per l’editoria digitale italiana, estate di riflessione per me: se non so che dire, leggo gli altri, rifletto per farmene un’idea, e poi passo all’azione. Non c’è nemmeno bisogno -nel mio caso- di aggiungere un’opinione al mare di quelle altrui.

Ma tant’é: ecco l’estate vista dalla ‘Periferia dell’Impero‘: come definisco a volte Genova, altre volte Quintadicopertina.

Stores per tutti…

Il 15 Luglio si è aggiunto agli stores presenti in Italia (Simplicissimus , IBS, Ebooksitalia) Bookrepublic. Vi sono anche qua editori interessanti che preludono ad una futura offerta ricca e curiosa. Sì, futura (questo vale un po’ per tutti): i titoli confezionati su carta non sono immediati da digitalizzare, e tutto non può essere già presente.

Il 3 Agosto poi ha aperto ebook.it, e siamo tutti in attesa di capire che farà Edigita. Un concorrente potente per gli altri store, soprattutto sotto il profilo dell’offerta di titoli, con il grande dubbio della richiesta dell’esclusiva.

Come Quinta stiamo cercando di capire dove e come partecipare. Ovunque e comunque, per aver maggior visibilità, come si dice in giro? Mi mancano ancora degli elementi per esserne certa.

In rete, il concetto di ‘distribuzione’ è strettamente legato a quello di visibilità. Non più camion e agenti per entrare nelle librerie sul territorio: nel web i ‘luoghi’ raggiungibili da lui sarebbero teoricamente raggiungibili anche dall’editore. Ci si affida allo store per aver una maggior presenza e un maggior pubblico raggiungibile. Però nello store gli editori sono tanti. E poi, non si capisce ancora bene quanti siano i lettori (e i libri scaricati).

Ma questo genere di attività rientra fra le mansioni dell’editore o dello store?

Resto dell’idea che, se non vuole morire, la casa editrice deve imparare a vivere anche sulla rete, oltre che nel territorio. Ma lo store può fornire valore aggiunto alla vendita proponendo un nuovo genere di servizi, fornendo ipotesi di comunicazione (collaborazioni con portali specializzati o presenze collettive in fiere, e nelle librerie…), che gli store non fanno ancora.
Questa parte per ora Quinta deve imparare a farsela da sola, magari con altri. Poi cercheremo di essere presenti su più stores possibili, ma senza perderci il sonno, finché i lettori di ebook sono pochi.

…diritti digitali da pochi

Il 19 Luglio Amazon annuncia il soprasso di vendita degli Ebook sugli Hardcovers. Il 23 Luglio Andrew Whylie, agente letterario americano, ipotizza accordi con Amazon bypassando gli editori. Non faccio considerazioni sulle dinamiche internazionali (peraltro il tormentone estivo si è chiuso, giusto-giusto con la fine dell’estate), ma la cosa provoca una reazione italiana: l’agente Roberto Santachiara qualche giorno dopo dichiara che non ha alcuna intenzione di cedere i diritti digitali dei suoi autori. Santachiara mi sta simpatico. Le sue considerazioni (sempre dalla ‘Periferia dell’Impero‘) mi paiono aver purtroppo una base sensata, e le critiche che ha ricevuto legate ad un’editoria ancora tradizionale.

Mentre medito su Santachiara, esce, il 18 Agosto, su Wired una recensione sull’edizione de ‘Il Sole 24 Ore’ su iPad ideata e sviluppata dalla Simplicissimus. Che non mi interessa. Mi interessano invece due cose che Antonio Tombolini sottolinea a margine nella sua risposta.

Ovvero il ‘secondo postulato’ per cui, secondo lui, tutti i contenuti dovrebbero essere disponibili gratuitamente (‘sono sempre, sono sempre stati, e sempre saranno gratuiti’), e a essere pagato dovrebbe essere il package, il formato, il prodotto. Mi chiedo se in pratica a crear valore sia, secondo questo assunto, tutto ciò che siamo in grado di creare attorno al contenuto; e in questo senso, più ammenicoli e ‘passaggi’ creiamo, più valore diamo al contenuto stesso. Poi mi domando chi alla fin fine abbia il dovere di compensare l’autore, ecco perché credo che Santachiara in fase di contrattazione faccia bene a tener un po’ duro.

Tombolini fa una seconda considerazione sul ‘prodotto’ giornale, e su come questi debba presentare gli stessi contenuti, sia che esca su carta o su iPad, senza modifiche negli articoli o nell’organizzazione. Non capisco perchè allora non dovremo considerarla valida anche per il giornale web, nettamente distinto per approfondimento e velocità dal cartaceo, regalando ai lettori due prodotti differenti e complementari.

… e l’IVA?
Per chiudere il cerchio, Raffaele Barberio di Ebooks.it, ha promosso, sempre nel bailamme della fine di Luglio, una petizione per chiedere che l’IVA sugli ebook si attesti, come per l’editoria tradizionale, al 4% (invece che all’attuale 20%). Una interessante risposta di Mario Guaraldi ricorda i motivi, mai citati, del perché l’editoria goda di questo regime privilegiato, e altri sul perché lui non firmerà la petizione in oggetto. Le rese, i costi di produzione, il numero di pagine… tutti concetti legati all’editoria tradizionale. Di come, slegati da questi concetti, potremo ragionare sulla rinuncia al prezzo di copertina imposto, o presumere aliquote IVA differenti a seconda della tipologia del pubblicato (magari dando una boccata d’ossigeno a un’editoria scolastica che pesa, oltre che sui dipendenti, sulle spalle dei genitori).

Comunque, i testi di Quintadicopertina sono in questo momento di fine estate presenti sul sito di Amazon (anche se stiamo aspettando di ricaricarci per presentarli), con prezzi stabiliti da Amazon. Nel mercato tradizionale proporre lo stesso prodotto a prezzi differenti sarebbe un’operazione sleale e inutile, ma in questo caso, terrebbe eslcusivamente conto del numero di bocche da sfamare che si stanno inframezzando fra la passione del lettore e il lavoro dell’autore. Ma questa considerazione è ancora in fase iniziale, magari ho sbagliato l’assunto di base.

Questa estate si chiuderà in bellezza, a Fosdinovo, con il primo Ebookfestival: tre giorni di incontri, dibattiti, tavole rotonde, dove si parlerà di editoria scolastica, di accessibilità, di scrittura atomica, delle modifiche nella filiera di distribuzione, di conversioni (magari anche spirituali), delle difficoltà dei piccoli e delle risorse della rete, del ruolo delle biblioteche e molto altro ancora.

Poi comincerà un nuovo anno.

Web incubo #5, menù che si aggiungono di notte

Sto lavorando all’architettura di un sito: diciamo che sono al punto in cui vedo la demo del sito in questione, e propongo modifiche di etichette, titoli, impaginazione etc per adattare struttura e contenuti. E’ una cosa che mi diverte molto, ma che mette sempre un po’ d’ansia: domani il cliente la vede.

Comunque vado a dormire, e guarda caso sogno il sito in questione. Sono al computer e navigo la demo con i miei grafici stampati accanto per vedere che tutto fili. Ma in un attimo mi rendo conto che non avevo visto che sopra l’header c’è una barra con un menù orizzontale in più, addirittura in Flash(?), con delle voci. La prima voce dice ‘Multiconversational Texture‘ e ancor prima di chiedermi che vuol dire salto sulla sedia: ma no è troppo lungo, qui ne esce un menù ingestibile e squilibrato, non è possibile ipotizzare un’etichetta del genere, come ho fatto a non vederla… Poi proseguo e leggo oltre, le voci seguenti, che sono nell’ordine ‘Risorse Ittiche‘, poi una terza a proposito della Diga Foranea. L’ultima voce è qualcosa che ha a che fare con i contatti, effettivamente è una cosa che mi creava dei dubbi nel sito originale, è ripetuto, ed ecco che qui c’è per l’ennesima volta.

Comunque, la mattina mi sveglio che son anche di buon umore, son cose che mi accadono e fortunatamente nella demo il menù in più non c’è (sì, sono andata a controllare).

Il significato del sogno è limpido: ma le ‘Risorse Ittiche’, che hanno a che fare con i miei incubi?

Dormire in casa d’altri

Non siamo mai stati tipi da grand hotel ma quest’anno abbiamo un po’ esagerato: complice la voglia di stremarci fisicamente dopo otto mesi che ci stremiamo mentalmente, il padre dei miei figli ed io abbiamo improvvisamente caricato la prole in bicicletta e siamo partiti alla volta del Po, per vedere quanto ne riuscivamo a percorrere. A dir la verità ben poco -circa 130 chilometri in quattro giorni- ma non è questa la storia.
Il fatto è che ci siamo diretti in una zona che nulla ha di turistico, in tenda, senza nulla di prenotato (tipo alberghi o campeggi) e, abbiamo scoperto là, nulla di prenotabile. Anzi, sono particolarmente stupita dalla presenza di ruderi, casolari fatiscenti, granai con il tetto distrutto, accanto a volte qualche container o costruzione nemmeno intonacata, e nulla di più. Mentre io mi aspettavo la campagna di quando ero bambina, con le case dei coltivatori gli orti e le famiglie.
Comunque: con gran gioia della nostra inutilizzata carta di credito, intorno alle sette di sera cominciavamo a vagolare per terreni e paeselli chiedendo un praticello in comodato gratuito per la notte, e l’abbiamo sempre sfangata. Suonare un campanello (virtuale, più spesso chiamavamo), e chiedere ospitalità per la notte. Questa cosa del chiedere, domandare cortesemente ed essere alla mercé della disponibilità di un’altra persona ci ha modificato lo stato d’animo, di tutti e quattro. Nulla ti è dovuto, anzi a dir la verità fai un certo effetto, a volte l’altro gongola per la possibilità che gli permetti di mostrarsi generoso. Una notte di diluvio abbiamo dormito in un salone di un agriturismo dove organizzavano ricevimenti per matrimoni, bevendo a gratis la loro acqua minerale, che quella del rubinetto non era potabile. Durante una tempesta siamo stati ospitati da una signora che parlava una lingua non identificata, la cui generosità si è riversata sui miei figli sotto forma di barrette di cioccolato e dolciumi. Il consiglio di un piccolo paesino ci ha concesso un praticello sotto il campanile della chiesa (a dir la verità dormire sotto un campanile non è piacevole) discutendo per un quarto d’ora su quale collocazione potesse risultare meno umida. L’ultima volta invece abbiamo dormito in campeggio. Ecco, qui era tutto brutto. La Carta di Credito ci ha improvvisamente trasformati in ‘quelli che avevano pagato’ e quindi avevano diritto a docce calde, corrente elettrica, ricchi premi e cotillons, che il campeggio non ci ha saputo offrire. Acquirenti delusi.

Comunque, alla fine della fiera, è stata una bella esperienza.
Ma dubito che la rifarò, sono a pezzi;)

Geobloggiamo?

Quale mese migliore di Agosto per parlare di come presentare e valorizzare il territorio? Per chi è rimasto a casa, qualche suggerimento per viaggiare (e far viaggiare) attraverso parole, immagini e mappe altrui.

Anche nella propozione del territorio due strumenti largamente utilizzati nella comunicazione web stanno affermandosi in maniera sempre più convinta. Uno è l’uso della narrazione attraverso le storie di vita ed esperienze personali (altri utilizzerebbero il termine storytelling), per suscitare emozioni e sensazioni, per legare l’informazione ad un vissuto individuale -un valore, un principio- capace di affermarsi ed essere ricordato con maggiore enfasi.

Qualche esempio? Seduti dalla nostra scrivania, proviamo a girovagare fra Marche e Balcani leggendo le esperienze di Viaggiare terraemare, o visitiamo l’Islanda fra le parole, immagini e video su Inspiredbyiceland, dove trova adeguata collocazione anche il materiale dei viaggiatori e visitatori.

Un secondo strumento utilizzato è offerto dalle mappe, che permettono di collocare immagini, informazioni e storie in uno spazio visivo e ricondurlo alla loro dimensione geografica.

Alla mappa è possibile collegare storie, esperienze, fotografie, descrizioni di luoghi e di strutture, attraverso il geotagging. A livello più basilare, è possibile correlare informazioni e servizi ad un luogo fisico (qui un esempio di mappa utilizzata per indicare la locazione di servizi a carattere sociale). Ad una mappa poi, è anche possibile taggare racconti personali e le storie di viaggio: fare geoblogging mettendo in relazione informazione, luoghi e sensazioni con video, audio e gallery fotografiche. Un passo in più rispetto ai geosocial network tipo Foursquare che permettono di ‘piazzare la propria bandierina’ sul luogo visitato senza dover inserire ricordi immagini o relazioni.

Il paesaggio diventa laboratorio: oltre ai racconti di vita racchiude la storia, risorse, leggende, arte, cultura e narrativa. Come in questa esperienza di Vallagraina, in Trentino Alto Adige. O come viene fatto nel Geoblog Monferrato.

Un’ultima segnalazione riguardo all’uso dei TAG e delle correlazioni (e in questo caso la mappa si costituisce attraverso le risorse e il materiale presente nel web) è l’interessante laboratorio del Tag Bologna, blog degli studenti del corso di laurea in Scienze della comunicazione dell’Università di Bologna, che si propone di monitorare la reputazione della città sul web, attraverso une serie di tag da utilizzare per segnalare le attività di promozione e informazione dal territorio, rendendo più facile una ricerca e una categorizzazione dell’offerta in particolar modo sui social network.

(Aggiornamento: approfondimenti sulle Google Place, dal Blog di Roberta Milano)

Reti Glocali Camp 2010

Il 20 e 21 Agosto sarò a Bardineto, al Reti Glocali Camp 2010: Idee e progetti sostenibili in Liguria. Lo scopo del Camp è quello di condividere progetti, idee, iniziative, legate all’ambiente e all’ecosostenibilità qui in Liguria. Il mio scopo personale è quello di vedere e incontrare altre persone che qui in Liguria hanno scommesso su un modo di lavorare che abbia come presupposto il rispetto per l’ambiente e per il lavoro delle persone.

Perché si dice sempre che qui in Liguria è dura incontrarsi, che non si riesce a costruire, che i giochi sono fatti e che la progettualità manca. E invece qui di progettualità ce ne è in abbondanza, e anche iniziative, e voglia di fare. Le persone che stanno organizzando il camp ci hanno scommesso molto del loro. Dietro non c’è (o magari, se c’è, io non la ho ancora trovata…) una grande azienda o ente a cercar pubblicità per se stessa in cambio di spazi di visibilità o promozione, questo camp nasce direttamente sul territorio.

Poi vi racconto;)