Words World Web, conversazioni a Terra Futura. ‘It’s always marketing, baby’

Lo spazio di Words World Web a Terra Futura lo apprezzo particolarmente perché è uno dei pochi dove non mi vogliono vendere qualcosa, e di questi tempi è un fatto importante. In più c’è il wifi, quindi praticamente prendo la residenza lì. Fra gli incontri proposti, seguo due tavole: l’ultima è ‘ Conversazioni sul tema Reti e Democrazia, nuove frontiere dell’agire politico‘ dove vedo in faccia per la prima volta Derrik De Kechove, Magnus Eriksson di The pirate bay, Vittorio Zambardino, Marco Pratellesi ed un altro di cui non ho segnato il nome. Conversazione interessante, ma si parla di cose ‘alte’, di quelle che ascolto ma su cui non mi esprimo.

Mi esprimo invece sulla tavola del giorno precedente, ‘Green Marketing e Green Washing‘, dove, dopo i saluti di Ugo Biggeri della Fondazione Culturale Responsabilità Etica e di Claudio Frontera del Sistema Toscana, Gianluca Diegoli di Minimarketing, Alessandro Giannì di Greenpeace, Andrea Di Benedetto presidente della CNA Giovani Imprenditori, e Marco Geronimi Stoll – Smarketing chiaccherano su web e etica, mercati, valori e prodotti, pubblicità e libere conversazioni nella rete.

La cosa che più mi colpisce (lo vedete dalla paginetta dove annoto le mie fole mentre i relatori parlano) è l’ottimismo. Mentre Biggeri, Frontera e Giannì parlano di esperienze pratiche, di scelte e illustrano campagne e movimenti, Diegoli, Di Benedetto e Geronimi Stoll affrontano il discorso delle conversazioni in rete e del green marketing in chiave generale, mostrando come la rete permetta una conversazione per adesso priva di grandi intermediari, spontanea e diretta, dove l’importante è il passa-parola e non più il il ‘prodotto’.

La grande crisi che il marketing tradizionale sta affrontando si scontra contro la libera iniziativa e il dialogo di persone che possono condividere le proprie opinioni tramite la rete, sostenendo non un bene, quanto un’idea, il valore che rappresenta. Il tema è chiaramente illustrato attraverso la ‘teoria del detersivo alla spina‘ di Gianluca Diegoli: se si indica su qualche SN un nuovo posto di distribuzione di detersivo alla spina, il messaggio viene probabilmente ritrasmesso e comunicato. Eppure il prodotto è sempre detersivo per lavare panni e stoviglie, ma essere ‘alla spina’ rispecchia un valore, un sentito, che è ciò che fa sì che una persona decida di sostenerlo e di ritrasmetterlo alla sua cerchia di conoscenti. Permette di ‘identificarsi’ all’interno di un gruppo portatore di valori in cui si crede, mi permetto di aggiungere io. Geronimi Stoll evidenzia come attraverso la rete e la distruzione dei meccanismi del marketing tradizionale (‘smarketing’), sia possibile ‘ridurre la filiera’ di distribuzione, arrivare direttamente agli interlocutori riducendo gli intermediari. Andrea Di Benedetto pone l’accento sull’importanza di questi stessi valori, e dell’etica in rete, e ipotizza che magari la generazione prossima cresciuta a pane e web possa essere in grado di trasportare quei valori e quell’etica all’esterno della rete, proponendo una nuova visione del mondo (forse la ho un po’ enfatizzata, ma il succo era questo).

A questo punto, visto che son tendenzialmente meno ottimista delle persone che ho davanti, mi frullano per la testa tre domande, ma la mia incapacità a cogliere il momento giusto ed elaborarle in tempi brevi fa sì che sia pronta ad esprimerle quando la sala è ormai vuota. Poco male, le pongo qui.

> La prima riguarda questa ‘etica della rete’ e di chi della rete fa parte. Mi chiedo se il meccanismo del web per cui, protetti da un parziale anonimato e da una rete differente da quella che abbiamo nella real life non ci porti a mostrarci ‘più etici’ di quel che in fin dei conti siamo. Personalmente so benissimo che in fin dei conti il web mi da la possibilità di rappresentarmi ‘a tutto tondo’, ponendo l’accento su quel che voglio e glissando su altri particolari: li retwitto, i luoghi dei detersivi alla spina, ma finisco sempre a comprare quello in flacone nel negozio sotto casa. Attenzione: non è mentire, è limare. Ma la realtà quotidiana è ben poco limata, ed è nelle limature mancate che i discorso costruiti su etica e valori vengono meno più spesso.

> La seconda questione riguarda la libertà della rete e delle conversazioni attraverso i social network. Le conversazioni spontanee non si possono controllare, e chi cerca di farlo o viene ‘beccato’ dalla rete stessa o finisce per investire più di quanto possa ricavarne. Si cita il team di comunicazione on line FIAT, che pare essere composto da 36 persone. Se di FIAT in rete se ne parla, non vuol dire che 36 addetti ai social network siano sostenibili da un’azienda in cambio del ritorno che si vuole avere. Anche qui ho due dubbi: il primo è che comunque, sostenibilità o meno, se FIAT mette 36 persona a lavorare sui SN per monitorare e dirigere i flussi di comunicazione on line vuol dire che si può fare. Nella tavola del giorno dopo qualcuno dirà che in fin dei conti siamo fortunati, perché ci ritroviamo politici che a mala pena sanno pronunciare correttamente ‘google‘. Perché nel momento in cui un politico potesse pensare di fare quel che Obama ha fatto con 36 milioni di tweet per una campagna elettorale la spontaneità della rete potrebbe avere veramente qualche problema. Ma qui si parla di ‘temi alti’, quindi mi tiro indietro.

> La terza questione riguarda i ‘flussi di informazione’, e il potere che hanno i nodi principali di guidarla e svolgerla a piacimento. A volte mi chiedo se non sia semplicemente questione di saper utilizzare uno strumento e una modalità di tessere rapporti nuova, e in questo sta il nostro spazio di libertà. Temo che possa bastare un buon enturage di persone ‘giuste’ collocate nei posti ‘giusti’ per muovere le conversazioni. E sono convinta che, sotto sotto, lo si stia già facendo. Intendiamoci: è la stessa cosa che faccio io come consulente, creandomi nella real life una rete di altri consulenti che si occupano di discipline differenti e complementari, per essere tutti più forti nell’affrontare il mercato. Ma nel momento in cui mi cerco uno stagista e mi viene automatico prendere quello uscito dal corso di formazione di un consulente con cui collaboro? E quando poi lavoro su un progetto e chiedo collaborazione al mio solito amico, immaginando che potrebbe essercene un terzo con maggiori competenze? Insomma, i ‘giri’ di conoscenze e amicizie che possono dare adito a sistemi di clienterismo ci sono ovunque, ma i meccanismi di controllo che ci sono nella vita reale non fungono nel web. E nel web quelle stesse regole mancanti che lasciano libera la conversazione sono le stesse che potrebbero permettere ai più abili di dirigere i centri di dialogo principali a proprio favore. E qui mi fermo definitivamente, che i temi alti son sempre più vicini.

Segnalazioni: i social media per la comunicazione no-profit, la cassetta degli attrezzi di Luca Conti

Un punto di partenza per ragionare sull’uso dei social media nel mondo del no profit è offerto dalla presentazione di Luca Conti, che è intervenuto al Festival del Founraising 2010 di Castrocaro Terme parlando specificatamente de ‘I social media per la comunicazione no-profit‘. Gentilmente Luca mette a disposizione in rete le slides del suo intervento.

Premetto che non ero presente, e quindi le mie considerazioni nascono solo dalla lettura del suo materiale, ma consiglio questa lettura a tutti coloro che, nel mondo del no-profit, si stanno avvicinando ai social media e ragionano su come utilizzarli. Potrebbe evitare loro qualche errore facilmente superabile (es. non aprire su Facebook un profilo personale con il nome associativo o aziendale…), e dare qualche dritta per un buon avvio.

Le slides rappresentano infatti un punto di partenza, che credo vada poi approfondito declinandolo nei diversi tipi di utilizzo che il no profit può fare dei social network.

Perché, all’atto pratico, il no profit può decidere di entrare nel web con diversi obiettivi, che vanno definiti prima di lanciarsi nella rete.
Usare Facebook o Twitter per fare raccolta fondi, piuttosto che per costruire una rete di volontari, o ancora come supporto in progetti di peer-education* a mio parere richiedono modalità e presupposti differenti, da definire e da integrare fra loro in un unico piano di comunicazione.
Le risposte alla prima domanda da porsi, ‘Perché lo faccio’, sono diverse, e il mondo del no-profit è complesso e variegato, e ragionare sul motivo che ci spinge ad utilizzare i social media e su cosa vogliamo ottenere è fondamentale per un buon avvio.

*La scorsa settimana ho ascoltato persone che che hanno sviluppato progetti di peer-education in rete, e mi preme segnalarne due: si tratta del progetto di promozione alla salute ‘Giovani 2.0‘ del Centro di Solidarietà di Genova e delle attività di media-education del Centro di documentazione & ricerca audiovisiva Steadycam.

Quintadicopertina è partita, gli ostacoli lasciati alle spalle

Avvertenza: questo post è lungo, dannatamente lungo.
Se ne avete uno, scaricatevelo e leggetevelo sul vostro ebook. Vi metto in fondo il .pdf

La ‘scommessa del 2010’ è cominciata: la casa editrice digitale quintadicopertina, progetto su cui sto lavorando assieme ad un gruppetto di persone curiose del mondo e della scrittura, è finalmente attiva e on-line.
La fase preparatoria è stata lunga, più lunga di quanto ci fossimo immaginati un anno e mezzo fa, ma facevamo sul serio e ci siamo arrivati.

Mi fa piacere chiudere, almeno su questo spazio, il capitolo affrontato fino ad adesso dando un’idea delle difficoltà incontrate nell’apertura e nella gestione, che altri ne facciano tesoro.
Molto spesso in questi mesi ho ascoltato su friendfeed, blog e social network idee interessanti su cosa si potrebbe fare o cosa sarebbe utile fare, ma la realizzazione all’atto pratico non sempre è così immediata.

Prima di tutto una necessaria introduzione: il budget iniziale era minimo, e non sempre ciò che si aveva in testa era realizzabile con quello che si aveva. Paradossalmente credo che sia stato meglio così, ci ha costretto a scegliere, rinunciare e ragionare: se avessimo avuto un budget maggiore avremo fatto più errori.
E poi, il mercato editoriale e digitale è ancora troppo in movimento per poter uscire con un idea fissa e definita, a meno che non si abbia la struttura di una casa editrice pre-esistente o altro a reggere il bilancio, e il fatto di proporci come luogo sperimentale e ‘plastico’ credo sia una risorsa. La massima cura è stata dedicata ai testi, alla fine sono loro che devono essere vincenti.

C’è un interessante libro, ‘Editoria digitale’, di Cacciola, Carbone, Ferri e Solidoro dove nel capitolo IV, ‘Il multimedia management’, a cura di Adriano Solidoro vi è un ampio elenco di tutte le figure professionali necessarie per un progetto editoriale digitale in grande stile. Leggendolo siamo entrati in panico, poi fortunatamente qualcuno si è messo a ridere. Noi tutte quelle figure non ce le abbiamo (anche se le abbiamo consultate tutte) e personalmente sono convinta che, allo stato dei fatti, con l’ipad che bussa alla porta, i cellulari che squillano, le lotte fra editori e distributori, i prezzi da stabilire e altro ancora, una tale armata di professionalità non sarebbe economicamente sostenibile, a meno di non avere il nome di una grande casa editrice dietro e di retribuirle anche per altre attività. Bisogna aspettare uno/due anni per metterle in campo.

Comunque, ecco alcune difficoltà pratiche che abbiamo affrontato:

Dare vita a un’impresa in Italia è lento, burocratico e farraginoso. L’editoria digitale rappresenta il trait d’union fra settori che (ipotizzo) si vogliono continuare a immaginare separati. Uscirne fuori non è semplice, capire quale forma imprenditoriale utilizzare è delirante. Alcune leggi sono interpretate diversamente da Regione a Regione, venirne a capo non è facile e i tempi non sono immediati come si potrebbe pensare.
Un grazie alla Camera di Commercio di Genova e alla nostra commercialista.

L’ebook è veloce: quando uno dei nostri autori ha letto questa frase ci ha chiesto se fossimo pazzi. Ci ha messo più di un anno, immagino quasi a tempo pieno, per produrre settemila pagine intersecate fra loro attraverso undicimila link: immaginare un editing per il testo, un betatesting per i link e fargli passare la validazione per epub non è stato per nulla veloce. L’ebook si produce velocemente, e velocemente si distribuisce: ma la cura per il testo, la struttura, la forma e la produzione dei files finali necessita il suo tempo. Per questo abbiamo deciso di uscire con tre opere, testate e riviste da diverse figure professionali, e non con venti. Di un ebook, senza averlo letto non si può immaginare il lavoro che c’è dietro.

Gli ISBN. Mica facile gestirli al digitale. Abbiamo deciso di attribuirne uno per ogni formato prodotto, come se fossero edizioni differenti. Il problema più grave ci si presenta con la sezione jukebooks (ancora off line al momento del lancio), dove sono contenuti diversi racconti, inizialmente disponibili gratuitamente. Il lettore, letto un breve promo, potrà selezionare quelli che preferisce, e farsi inviare un ‘ebook’ su misura, con il materiale da lui selezionato. Questo vuol dire, se si mettono on line 20 racconti, prevedere tutte le combinazioni possibili fra di essi e attribuire un ISBN ad ogni singolo formato di tutte le combinazioni. La faccenda è tecnicamente infattibile, e gli ISBN hanno comunque un costo.
Noi abbiamo trovato una soluzione, la vedrete quando pubblicheremo la sezione, ma gli ISBN non rispecchiano il contenuto digitale, a volte in divenire. E se tu lettore decidessi dopo un mese di aggiungere un altro testo al tuo ebook, io editore dovrei attribuire un nuovo ISBN? E quando altri racconti si aggiungeranno ai primi?

Ereader, cellulari e presumibilmente ipad sono canali diversi.
Il testo va nuovamente riadattato per ognuno di essi, l’apparato iconografico è da studiare differentemente, da un cellulare o da un ipad ci si può connettere al web e questa può essere contemporaneamente una risorsa o un ostacolo.

L’attribuzione del prezzo.
I prezzi che abbiamo stabilito sono in fascia estremamente bassa (sempre comunque sotto i cinque euro, per diversi testi anche la metà). Sono quelli che, da lettori, vorremo trovare su ogni opera, su carta o su ebook che sia. Prevedono una base di acquirenti molto alta per raggiungere il punto di sostenibilità. Qui la vera scommessa. Per questo abbiamo dato la possibilità, per eventuali afficitionados, di acquistare a un prezzo maggiore una ‘special edition’ di ogni opera contenente i tre diversi files ed alcuni contenuti speciali. Anche per sostenerci, nel breve termine. Se hai uno stipendio maggiore ai 1300 euro netti al mese compra quella per favore.

Cose belle
Vi sono invece due punti estremamente positivi nel lavoro di questi mesi.
Il primo è il rapporto con gli autori. Sarà che la percentuale di diritti di cui usufruiscono si aggira fra il 35% e il 50%, sarà che sono tutti curiosi del mezzo e delle nuove possibilità, ma effettivamente ci siamo divertiti, scontrati e di nuovo divertiti. A nessuna delle persone con cui abbiamo lavorato è mai balzata per la testa l’idea di poter fare a meno di un editore, che verificasse il testo, che provasse i link, che fungesse da confronto. Che si occupasse di ISBN, distribuzione, di comunicazione. A tutti gli autori un grazie perché hanno scommesso su una neo-casa editrice che ancora non vanta canali di distribuzione ampi e grandi conoscenze.

Un secondo fattore positivo è la risposta delle piccole imprese che abbiamo incontrato, che pur conoscendo poco il web, social network, meccaniche dell’editoria e a volte anche gli ebook hanno manifestato subito interesse, voglia di sperimentarsi e di provare. Paradossalmente in questo settore abbiamo cominciato a lavorare ancor prima di partire, anche se in maniera meno visibile. Ma più pratica: nella real life.

Vi aggiornerò fra qualche mese sulle nostre aspettative, e sui primi risultati.

quintadicopertina, la prima fase (pdf)